Il giardino dei Finzi-Contini letto da Marco Baliani. Audiolibro. CD Audio formato MP3

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http://ecx.images-amazon.com/images/I/51pBCDv7FEL._.jpgPubblicato nel 1962, Il giardino dei Finzi Contini fa parte di quel grande organismo romanzesco cui Giorgio Bassani lavorò nel corso di quarant’anni, dal ’38 al ’48, e che va sotto il nome de Il romanzo di Ferrara. Si tratta di una macrostruttura, sostenuta da un complesso meccanismo di relazioni e rimandi interni, che raccoglie gran parte dell’opera narrativa dello scrittore: Dentro le mura, Gli occhiali d’oro, Il giardino dei Finzi Contini, Dietro la porta, L’airone, L’odore del fieno, romanzi autonomi ma nello stesso tempo legati intimamente da una visione poetica comune, e da un’ambientazione che diventa anche simbolo di un modo di guardare alla storia: Ferrara, con le sue strade larghe e silenziose; la malinconia sottile e piacevole di un’esistenza sospesa in un’eterna provincia, tra i fasti universitari di Bologna e i poetici languori di Venezia; le nebbie lattiginose, da cui affiorano a tratti sagome scure, fantasmi che solo all’ultimo momento rivelano la loro vera identità di case, alberi, muri.nnio Flaiano nasce a Pescara nel 1910, ma nel ’40 si trasferisce a Roma dove resterà per tutto il resto della vita. Appena trasferito, pur essendo iscritto alla facoltà di architettura, comincia la sua attività di giornalista, in special modo come critico letterario e cinematografico.

 

L’io narrante de Il giardino dei Finzi Contini vive immerso in questa atmosfera, e di questa atmosfera vuole restituire il sapore, in un romanzo che nasce e si sviluppa sul lento, assiduo movimento del ricordo. Il prologo esordisce con l’immagine della necropoli etrusca di Cerveteri, meta di una scampagnata del protagonista insieme ad alcuni amici, una domenica d’aprile del 1957. La particolarità del luogo suscita nella compagnia una riflessione sulla morte e il ricordo di chi ci ha lasciato, sempre più labile con il passare degli anni, fino a dissolversi del tutto. «Perché le tombe antiche fanno meno malinconia di quelle più nuove?» chiede Giannina, la più piccola del gruppo, ed è come se da questa domanda scaturisse il flusso narrativo che dà vita all’intero romanzo, una grande “intermittenza del cuore” a recuperare un tempo passato, ma solo per accorgersi che mai, neppure quando era presente, lo si è posseduto veramente. «Io riandavo con la memoria agli anni della mia prima giovinezza, e a Ferrara, e al cimitero ebraico posto in fondo a via Montebello» (1) . Non è un caso che sia proprio un cimitero ad aprire la lunga rassegna di ricordi dell’io narrante; le immagini di morte sono ricorrenti nel romanzo, avvolte di un’aura mai lugubre o drammatica, ma dolcemente malinconica. Anche della tragedia umana dei Finzi Contini, illustre famiglia ebraica travolta e distrutta nei campi di sterminio nazisti, il lettore non avverte l’orrore e l’immane peso storico, ma solo il languore elegiaco di un amore perduto.

 

All’epoca delle leggi razziali, un gruppo di giovani ebrei benestanti di Ferrara si trova escluso dai circoli sportivi, dalle biblioteche e dai luoghi di ritrovo pubblici: è l’occasione che spinge gli alteri Finzi Contini a sciogliere il proverbiale riserbo, mettendo il loro leggendario giardino a disposizione dei giovani, ebrei e non, coetanei dei figli Alberto e Micol. Il giardino diventa così un luogo sospeso, a-storico, dove lo spensierato snobismo dei suoi nobili abitanti sembra voler cancellare con la noncuranza e il disinteresse quanto sta avvenendo oltre le mura secolari che ne delimitano i confini. Il fascino misterioso e antico di questo microcosmo, apparentemente inattaccabile, del tutto bastante a se stesso, attrae irresistibilmente il protagonista, che si innamora di Micol, parte di quel mondo ma, nello stesso tempo, l’unica a saperlo guardare con distacco e con triste ironia, l’unica che, talvolta, provi a scavalcare quelle mura, come faceva fin da ragazzina, eludendo la sorveglianza di portinai e governanti.

 

Ma questo amore appassionato e struggente non verrà mai vissuto: Micol lo allontana, consapevole che le persone troppo simili non possono amarsi davvero, perché «l’amore (così almeno se lo figurava lei) era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda, uno sport crudele, feroce […] da praticarsi senza esclusione di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d’animo e onestà do propositi»; e forse (ma è un dubbio, solo un dubbio che l’io narrante non vuole sciogliere, né per se stesso né per i lettori), forse Micol un amore di questo tipo lo ha trovato, in Malnate, giovane frequentatore del giardino, milanese, comunista militante, che guarda alla vita e alla storia con ben altra energia e concretezza che i Finzi Contini. Alla fine del romanzo, la rinuncia del protagonista a Micol corrisponde con la sua entrata nella vita vera, con tutto il suo peso di dolore e responsabilità, con la nuova consapevolezza che il mondo protetto e incantato de Il giardino dei Finzi Contini si reggeva solo su valori appartenenti al passato, che le parole di Micol erano «le solite parole ingannevoli e disperate che soltanto un vero bacio avrebbe potuto impedirle di proferire».

 

(1) Il giardino dei Finzi Contini, Mondatori, Milano 1991, p. 7.

 

A cura della Redazione Virtuale

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