" L’insegnamento delle lingue e i dislessici " di Anna Chiarenza - Vittoria Coniglione

http://ts4.mm.bing.net/th?id=I.4819731498926335&pid=15.1Un’indagine proposta dalla Associazione Italiana Dislessia sottolinea come su circa 400.000 alunni iscritti nelle scuole superiori italiane 12.000-20.000 presentino caratteristiche assimilabili alla dislessia. Si calcola che circa il 4% della popolazione italiana sia colpito da questo “impedimento” che, riducendo l’abilità di codificazione e decodificazione della parola scritta, pregiudica il rendimento scolastico.

La presenza di un congruo numero di dislessici nella popolazione scolastica italiana richiede una nuova coscienza di metodologie specifiche e merita un approfondimento sulla reale natura di questa che è stata definita una disabilità invisibile ma che in realtà è una differenza di apprendimento.

Nel nostro paese, alle consuete difficoltà di diagnosi dovute sia alla grande varietà di forme che di gravità tipiche della dislessia, spesso confusa con altri disordini per la presenza di iperattività e limitata concentrazione, si aggiunge una scarsa informazione sul problema, noto agli specialisti solo a partire dagli anni Novanta. Vi sono inoltre alcune caratteristiche precipue della lingua italiana che celano l’effettivo grado di automatizzazione raggiunto dagli studenti in queste abilità.

Spesso i docenti nei diversi gradi della scuola italiana, seppur consci dell’importanza dell’abilità linguistica per il raggiungimento di un soddisfacente successo scolastico, non sono in grado di riconoscere i sintomi della dislessia che è, in certi casi, la principale causa di risultati mediocri anche in ragazzi di intelligenza normale o superiore.

Identificare il problema può tradursi in un reale cambiamento nella vita di questi studenti, come dimostrano gli studi condotti in altri paesi ed in particolare negli Stati Uniti, dove la dislessia (la cui incidenza è marcatamente più elevata 17-20%) è oggetto di studi scientifici sin dagli anni Sessanta, ed è stato dimostrato che il grado di successo scolastico degli studenti con differenze di apprendimento è da attribuire in grande parte alla metodologia didattica adottata.

Quando si parla di dislessia è utile, innanzitutto, chiarire che non si tratta di una disabilità o di un deficit intellettivo come viene dimostrato da brillanti risultati in aree cognitive ed accademiche diverse dal linguaggio. Si tratta di un disordine di natura genetica e correlato al linguaggio, causato dal cromosoma sedici, che pregiudica il processo di elaborazione e conservazione dei dati e la capacità di richiamare alla memoria ed utilizzare le informazioni di carattere linguistico. La varietà di forme e gravità con cui la dislessia si presenta è da mettere in relazione alle differenze strutturali della corteccia cerebrale.

La dislessia è però un disordine complesso dove le componenti genetiche ed ambientali interagiscono contribuendo ad aumentarne l’incidenza. Situazioni familiari particolari ed un approccio didattico tradizionalista e miope, che non rileva il malessere di certi studenti, sono la causa di un disagio che dall’ambito scolastico si amplia sino a divenire psicologico e sociale.

Un’analisi e un confronto delle caratteristiche fonologiche delle diverse lingue ci spingono ad ipotizzare che la costante e uniforme rappresentazione grafica dei suoni (come nel caso della lingua italiana) possa ridurre l’incidenza della dislessia. In alcuni casi, gli studenti riescono ad elaborare strategie compensative capaci di minimizzare il disagio. Sembra che le difficoltà di lettura e scrittura della lingua italiana, per quanto rilevanti in taluni casi, possano essere circoscritte ed in qualche misura superate per le caratteristiche intrinseche della nostra lingua. È però necessario sottolineare che nello studente con una reale dislessia permane una latente, ma incurabile incertezza che potremmo definire mancanza di completa automatizzazione delle abilità di lettura scorrevole e di una corretta ortografia.

Questo ci induce a spiegare il perché, in Italia, la dislessia si manifesti in tutta la sua problematicità nelle scuole secondarie, non appena lo studente affronta lo studio di una lingua straniera, dell’inglese o del francese in particolare. Il codice grafico-fonologico di queste lingue è, infatti, completamente diverso da quello italiano. La richiesta da parte dei docenti di lingua straniera di acquisire in tempi rapidi l’abilità di lettura e soprattutto di scrittura è realmente al di sopra delle possibilità dello studente dislessico e quindi l’impatto col nuovo codice linguistico può diventare un ostacolo insormontabile che può minare anche l’autostima dell’allievo. La vasta esperienza e i numerosissimi studi descrittivi ed empirici condotti nei paesi di lingua inglese sono utili per comprendere come la dislessia complichi l’apprendimento delle lingue straniere e quali siano esattamente le aree di problematicità. Dobbiamo tener conto delle caratteristiche della lingua italiana e non sottovalutare il fatto che l’apprendimento di una lingua si fonda su quello della lingua madre e che i fattori che rappresentano un ostacolo o che hanno un impatto negativo sulla prima lingua hanno un effetto simile nell’apprendimento anche della lingua straniera.

Da molti anni ormai i ricercatori hanno dimostrato che non esiste una disabilità specifica nell’apprendimento delle lingue straniere, ma la difficoltà è inerente alla più ampia problematica connessa all’acquisizione di qualsiasi lingua, anche quella madre. Gli studenti che sono ostacolati nell’apprendimento dell’inglese o del francese, ad esempio, non presentano un deficit linguistico specifico ma semplicemente delle differenze linguistiche. L’area maggiormente interessata è quella concernente le abilità di codificazione e decodificazione fono-grafologiche e secondariamente, e solo in alcuni casi, anche nell’area semantica e nel sistema della memoria fonologica a breve e lungo termine.

Tali difficoltà influenzano fortemente l’elaborazione del linguaggio poiché la ridotta abilità nel formare tracce stabili dei suoni delle parole straniere all’interno della memoria fonologica può essere la causa della mancata memorizzazione a lungo termine. Si è giunti così alla tesi di una somiglianza dei profili linguistici degli studenti definiti a rischio nell’apprendimento della lingua straniera e quelli che avevano già manifestato difficoltà di linguaggio, in particolare nell’apprendere abilità di lettura e di corretta ortografia nell’infanzia. Le principali similarità sono state riscontrate nella difficoltà a collegare fonologia e ortografia, nella memoria delle regole ortografiche e nell’applicazione di tali regole.

Un’intelligenza spiccata, una assistenza costante già nelle prime fasi dell’apprendimento della lettura e della scrittura ed in generale dell’espressione linguistica, la sovraesposizione alla prima lingua possono essere spesso determinanti nel mascherare la presenza dei sintomi di dislessia nella lingua madre, ma all’impatto con la lingua straniera la difficoltà di apprendimento del nuovo codice può riaffiorare in maniera evidente.

In presenza di una disabilità, si ritiene che non possa attuarsi un vero apprendimento o che comunque sia necessario adottare un radicale cambiamento dei contenuti o effettuarne una selezione. Va ribadito però che la dislessia non può essere associata alle disabilità, poiché si tratta di un disordine legato allo sviluppo del linguaggio e che i dislessici sono intelligenti, spesso dotati di capacità artistiche notevoli.

Numerosi studi di ricercatori hanno ampiamente dimostrato che l’apprendimento avviene se le strategie utilizzate sono quelle appropriate ai diversi casi. In particolare, le ricerche effettuate nei paesi di lingua inglese dimostrano che si può potenziare l’elaborazione del linguaggio adottando tecniche utili per tutti gli studenti ma particolarmente efficaci per i dislessici. Adattare l’insegnamento della lingua per la presenza di dislessici in classe non significa limitare i contenuti ma piuttosto utilizzare strategie diverse che, pur mirate al soddisfacimento delle esigenze degli studenti linguisticamente più deboli, potenziano le abilità di tutto il gruppo classe.

Per procedere alla identificazione delle strategie più efficaci è necessario tenere presente che molti studenti potenzialmente dislessici non sono diagnosticati ma semplicemente etichettati come distratti, pigri o svogliati e che questo disordine si manifesta in alunni con un grado di intelligenza spesso superiore alla norma in aree diverse da quella linguistica. Va ricordato che le differenze tra una persona dislessica ed una non dislessica si manifestano principalmente nell’apprendimento dell’abilità della lettura e della scrittura e che tali differenze non sono particolarmente visibili; infine l’invisibilità del problema può essere acuita dalle caratteristiche fonologiche dell’italiano.

Considerando la situazione nel nostro paese, è molto importante leggere e valutare i diversi suggerimenti dei ricercatori di altri paesi, in particolare di lingua inglese, ed adattare tali idee alle concrete e diverse necessità degli studenti che incontriamo nella realtà delle nostre classi. Ricordiamo che, ad esempio, nei paesi di lingua inglese l’incidenza di dislessici è di quasi il venti per cento della popolazione e le difficoltà che gli studenti anglofoni incontrano già nella lingua madre sono marcate.

Negli Stati Uniti la ricerca sulla dislessia si è sviluppata partendo proprio dalla constatazione che un elevato numero di studenti universitari, brillanti in tutte le discipline, sembravano incapaci di apprendere una lingua straniera. L’incongruità della situazione portò i ricercatori alla constatazione che molti studenti, classificati come disabili, avevano semplicemente difficoltà di lettura, un deficit esclusivamente limitato all’area della elaborazione fonologica che è il segno della carenza di una coscienza della struttura sonora delle parole. Gli studi sistematici condotti nei decenni successivi hanno portato i ricercatori americani alla conclusione che gli studenti con deboli abilità nella lingua madre ottengono risultati scadenti nella lingua straniera a causa delle scarse abilità espressive, fonologiche ed ortografiche nella lingua madre e già dagli anni ’90 veniva consigliato un approccio all’insegnamento della lingua straniera che fornisse un’istruzione diretta dei sistemi fonologici, ortografici e sintattici della nuova lingua per compensare tali carenze già presenti nella lingua madre. L’approccio multisensoriale strutturato in maniera sequenziale utilizzato per insegnare le lingue straniere (la lettura e la scrittura in particolare) nei paesi anglosassoni ha dato risultati molto soddisfacenti poiché, confrontando i dati relativi a vari gruppi esposti ad approcci differenti, coloro che avevano fruito di quello multisensoriale ne avevano beneficiato fortemente conseguendo risultati di gran lunga superiori a quelli di studenti che avevano seguito corsi tradizionali. I progressi realizzati nell’apprendimento della lingua straniera dagli studenti a rischio grazie ad un’istruzione mirata erano visibili e riflessi anche nella lingua madre e si riscontrava un atteggiamento positivo nei confronti della lingua straniera.

La dislessia si manifesta attraverso una serie di comportamenti che l’insegnante può riconoscere ma la diagnosi dello specialista è assolutamente necessaria. La scarsa attenzione, la difficoltà a mantenere la concentrazione, l’irrequietezza fisica, la lentezza e la confusione nell’esecuzione delle consegne e delle tradizionali attività di classe sono spesso indicativi, ma è l’attenta osservazione delle abilità di comunicazione orale e scritta degli studenti che può fornirci utili informazioni sul processo di elaborazione del linguaggio, che è l’indicatore privilegiato per valutare se si è in presenza di una forma di dislessia o meno.

Oltre che impreparati a riconoscere i sintomi della dislessia, noi docenti siamo incerti su come fornire un corretto supporto agli studenti per venire incontro alle loro diverse necessità di apprendimento. Vi è talvolta confusione sulla natura di tale supporto, non ultimo su chi, dove e in che forma deve fornirlo e ciò che in tale programma deve essere incluso.

Non vi è dubbio che una diagnosi precoce, un trattamento appropriato da parte degli insegnanti coadiuvati da uno psicologo e dalla famiglia, possano sicuramente migliorare i risultati scolastici degli studenti ed aumentare la loro autostima e fiducia in se stessi. È necessario offrire a tutti gli studenti di lingue straniere pari opportunità di apprendimento, consapevoli che la loro ricompensa sarà un passaporto linguistico per una diversa cultura.

Fonte: http://www.liceogalileict.it/rivistagalilei/articoli/art15.htm

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