Poliglotti e brillanti

http://www.universonline.it/_scienza/foto/area_di_brocca_poliglotti/area_di_brocca_poliglotti.jpgIn tempi di frontiere sempre più aperte e virtuali essere in grado di parlare più lingue è senz’altro di grande utilità, ma potrebbe fornire anche un altro vantaggio: aiutare il cervello a mantenersi attivo e ben funzionante. Secondo quanto sarà presentato il prossimo aprile all’annuale meeting dell’American Academy of Neurology a Honolulu nelle Hawaii, i poliglotti andrebbero incontro a disturbi della memoria e di altre facoltà cognitive con meno probabilità rispetto a chi invece sa esprimersi solo in una o due lingue al massimo.

 LO STUDIO - L’affermazione è frutto di uno studio ideato e guidato da Magali Perquin, ricercatore del Centro Pubblico di Ricerca per la Salute del Lussemburgo, dove sono stati sottoposti a test neurologici e psicologici 230 ultrasettantenni capaci di parlare da 2 a 7 lingue diverse e con alle spalle almeno 12 anni di scuola. Chi era in grado di esprimersi in 3 idiomi differenti andava incontro a disturbi della memoria e cognitivi in genere 4 volte di meno rispetto a un coetaneo bilingue. Inoltre il rischio che la mente iniziasse a perdere qualche colpo diminuiva con l’aumentare delle lingue parlate dai partecipanti all’indagine. Tutto questo in maniera indipendente dalla loro età e dal loro grado di istruzione. «La nostra ricerca - puntualizza Perquin - mostra come conoscere più lingue diverse può proteggere dal deterioramento di alcune funzioni cerebrali e, poiché perdita di memoria e riduzione delle abilità cognitive sono le prime avvisaglie dell’Alzheimer, non è troppo azzardato affermare che saper parlare più lingue potrebbe aiutare a prevenire o ritardare la comparsa della malattia».

«USALO O LO PERDI» - I ricercatori lussemburghesi non hanno però saputo dare una spiegazione precisa sul perché l’essere multilingue possa contribuire a proteggere da forme didemenza. Una probabile interpretazione dei dati riportati in questo studio potrebbe essere riconducibile alla teoria sulle funzioni cerebrali diffusa negli anni Novanta e chiamata all’inglese: "use it, or lose it" cioè "usalo, o lo perdi". Vale a dire: più ci si sforza di far funzionare il cervello mantenendolo attivo e pensante, meno questo prezioso e fondamentale organo correrà il rischio di deteriorarsi e di andare incontro a forme di demenza come l’Alzheimer. E non c’è dubbio che imparare a parlare molte lingue sia un’attività che mantiene la mente sempre in allenamento. D’altra parte questo non è l’unico studio in cui si avanza l’ipotesi che stimolare le abilità cerebrali ritardi il comparire di segni di demenza. Ulteriori dati a sostegno di questa tesi si trovano infatti all’interno dell’Einstein Aging Study, un programma dell’Albert Einstein School of Medicine di New York che si occupa dal 1980 dei disturbi cognitivi legati all’invecchiamento. Qui, ricerche coordinate dal neurologo Richard Lipton hanno mostrato che più si fanno attività stimolanti per il cervello come leggere libri o giornali, scrivere, giocare a carte, dilettarsi in enigmistica, più la comparsa dell’Alzheimer sarà ritardata. Resta però un dubbio: è utilizzare la mente che allontana l’arrivo della demenza o adoperare spesso il cervello è una caratteristica propria di quelle persone che di per sé soffriranno meno di altre di disturbi cognitivi con l’avanzare dell’età? Difficile rispondere. Certo è che, in un paese come l’Italia dove, secondo dati dell’Istituto Superiore di Sanità, vivono un milione di pazienti con forme di demenza, oltre la metà delle quali diagnosticate come Alzheimer, lo spettro della perdita della memoria e delle facoltà cognitive è più che mai presente. Che sia rispondendo "thank you", "danke" e "merci" o diventando i re dei cruciverba, meglio tenere il cervello in forma, per il presente e per il futuro. ( Fonte: www.corriere.it)

Cristina Gaviraghi

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